di Gianluca Celentano, conducente bus

Alcuni di noi si sono avvicinati a questa professione di indipendenza gestionale per tradizione familiare, qualcun altro spinto dalla voglia di mettersi alla prova, ma la permanenza è legata sostanzialmente a due requisiti oltre a quello della patente: quello economico e la passione per la guida. Chi non possiede uno di questi requisiti difficilmente permarrà nella mansione e farla come ripiego sarà assolutamente difficile.
I concetti ben conosciuti sin dai primi giorni di guida, sono occhio, puntualità e responsabilità.

Con il tempo s’imparerà a capire come impostare una manovra con la minor fatica, quali strade percorrere o quali svolte non ci portino dritto in un sicuro incaglio, considerando che autosnodati, autoarticolati e autotreni, possiedono una manovrabilità maggiore rispetto un bus di 12 metri. 
Sarà assai difficile ricevere consigli e comprensione da parte di automobilisti o altri utenti della strada che a volte si mostrano un po’ troppo frettolosi nei giudizi. Sono le nostre stesse “dimensioni” a farci considerare un ostacolo in una situazione di ambigua viabilità, ma nove su dieci noi non c’entriamo nulla e dobbiamo incassare il colpo.

Anche i consigli di un loquace e disponibile “furgonaro” circa un tratto di strada a noi sconosciuto, servono relativamente. Occorre quindi avere intuito ed essere anche un po’ geometri e, detta all’autobussiere, aver occhio. Poi ci sono le troppe responsabilità amministrative, civili e penali, queste per fortuna un po’ rare,  mentre più frequenti sono quelle legate al gradimento dei viaggiatori i quali, avranno sempre qualcosa da obiettare.

Un po’ di sana ansia fa parte del mestiere e forse ti aiuta a non fidarti troppo dell’intrinseco feeling fra te e l’autobus; per questo motivo il conducente di gran turismo è un po’ un avventuriero. Molto importante da parte del titolare è il concedere un po’ di riconoscenza, ma in un settore dove vige ancora una mentalità obsoleta questo aspetto non è scontato.

Il pilota di terra dall’occhio lungo

Per chi è un novizio, ma anche per gli esperti la frase “bisogna farsi l’occhio” rappresenterà la base del 50% della professione. Una professione che ha un nome generico: autista, ma in realtà è molto, molto di più. Nella mia esperienza in un parcheggio – credo della Toscana – un anziano e distinto collega (giacca e cravatta), polemizzava su questo concetto plaudendo un termine tutto nuovo: siamo tecnici del noleggio! Ammetto d’aver trattenuto una risata fosse solo per la convinzione e la postura con cui lo diceva, ma pensandoci bene a distanza di anni, tutti i torti non li aveva.

Roberto Verona presidente di An-bti sostiene invece che il termine più appropriato sia quello di Bus Manager, fosse solo per tutte le problematiche (troppe) cui dobbiamo imbatterci. Alcuni colleghi sostengono che avere una divisa con dei gradi legati all’esperienza trasmetterebbe un’immagine diversa, ma sono tutte conclusioni esterne al titolo  di guida. Altri sono più propensi all’uso di un termine alternativo e un po’ provocatorio al generico autista, ad esempio pilota di terra. Diversi colleghi prendendo spunto dagli operatori aeroportuali sono convinti che una targhetta con impressa una specialità collaterale alla mansione di autista, sia un buon proposito per veder lievitare la busta paga catturando la considerazione dei passeggeri: tipo autista meccanico, autista poliglotta, autista coordinatore, istruttore, piuttosto che autista blsd nel caso di DAE a bordo…

Andando a fondo alle testimonianze dove il fattore retributivo, non dimentichiamolo, è il primo dei problemi, si percepisce la necessità di uno status di credibilità professionale diverso che vada ben oltre la “generica” patente.

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