La basca Irizar combina un approccio multi-tecnologico con una forte selettività nelle gare d’appalto. La ripresa post-Covid è quasi completa. Irizar e-mobility? Una start-up in crescita. La mobilità elettrica? Si affranchi dai sussidi

Al mondo dell’autobus ci è arrivato, non lo ha attraversato. E si vede. Parlare con Imanol Rego, dal 2020 al 2022 al vertice di Irizar e-mobility, da settembre del 2022 rientrato nel gruppo come CEO di Irizar, è come ricevere una prospettiva esterna, ma informata sui fatti. Per tredici anni ha lavorato per la multinazionale energetica francese Schneider Electric. Ultimo incarico? Chief data officer. Una posizione che dice molto di un professionista che parla per numeri (e fa parlare i numeri). E che ha il pregio di saper inserire i dati (dell’autobus, nel nostro caso) in un contesto, anzi due: quello energetico e quello economico-finanziario. E che ha il coraggio di dire, ed è merce rara, che il sistema dell’elettrico ha il dovere di diventare sostenibile a prescindere dai sussidi. 

In vista del 2025, facciamo un recap su come è andato il 2023 e come sta andando l’anno in corso?

«Abbiamo chiuso il 2023 con 895 milioni di euro di fatturato, in aumento del 40 per cento sul 2022. Tutte le aziende del gruppo sono cresciute della stessa percentuale. Prevediamo 970 milioni di fatturato alla fine del 2024. Nel 2023 abbiamo prodotto 3.068 autobus, mentre nel 2024 prevediamo di raggiungere le 3.700 unità. Stiamo investendo 20 milioni di euro in capacità produttiva. Il nostro obiettivo per quest’anno è consolidare Irizar e prepararci alle sfide future».

E la reddittività?

«Ad essere sinceri, durante la pandemia, come la maggior parte dei nostri partner, abbiamo registrato perdite nel 2020, 2021 e 2022, con volumi di vendita passati da 3.000 a 1.500 unità. A livello di gruppo, abbiamo avuto 70 milioni di perdite. Ovviamente, l’Ebit è diventato negativo. Tuttavia, dal 2023 siamo di nuovo positivi a livello di Ebit e siamo tornati a un Ebitda pari al 70 per cento di quello del 2019. Un valore per il nostro gruppo è stato quello di essere una cooperativa: i dividendi nei momenti positivi sono stati mantenuti all’interno dell’azienda e utilizzati per finanziare le perdite».

E Irizar e-mobility?

«Irizar e-mobility è una startup, i suoi volumi sono in forte crescita e prevediamo che il suo Ebit diventi positivo quest’anno».

Dove vedete la crescita maggiore e quali sono le vostre strategie per ogni segmento?

«Nei nostri dati, assistiamo a una crescita del segmento dei coach, nonostante il mercato sia in forte espansione nel settore degli autobus urbani. Ma in quest’ultimo segmento abbiamo deciso di essere più selettivi. Mi spiego: stiamo investendo nello sviluppo di e-bus per il trasporto pubblico, ma non partecipiamo a tutte le gare d’appalto. A causa dell’elevata concorrenza e della ‘guerra dei prezzi’, il mercato sta diventando estremamente difficile. Puntiamo a essere una ‘boutique’, non un grande magazzino».

D’altra parte, il mercato europeo degli autobus urbani elettrici è destinato quasi a raddoppiare entro il 2030, considerando il mandato del 90 per cento imposto dall’Ue. Molti Oem stanno lavorando per espandere i loro volumi di produzione…

«Il capitale impiegato per la produzione di e-bus è superiore di circa il 60 per cento rispetto ai veicoli convenzionali, soprattutto a causa del costo della batteria. Il nostro obiettivo è crescere in modo sostenibile».

Rimaniamo sulla mobilità elettrica: a quali mercati vi rivolgete principalmente?

«Irizar e-mobility ha filiali in Italia, Francia, Regno Unito e Benelux. Si tratta di filiali Irizar, su cui Irizar e-mobility fa affidamento. Non abbiamo controllate nella regione Dach (Germania, Austria, Svizzera, ndr), dove siamo rappresentati da un dealer, che funge da gatekeeper per permetterci di sbarcare più facilmente sul mercato».

Irizar offre tradizionalmente prodotti su carrozzeria, ma anche integrali. E gli ultimi anni hanno dimostrato che molte opportunità stanno chiamando in causa i carrozzieri…

«Il 20 per cento della nostra produzione di coach a livello globale è integrale. Una quota leggermente superiore in Europa. Ma non stiamo spingendo per la nostra soluzione, siamo orgogliosi di essere un carrozziere e di lavorare agnosticamente con molti Oem».

Il mercato dei veicoli da 24 metri è piuttosto di nicchia, ma d’altra parte i volumi sono in aumento e i produttori che offrono questa tecnologia sono molto pochi. Dovremmo forse aspettarci un ie tram con doppia articolazione? 

«La costruzione di un autobus di 24 metri richiederebbe l’utilizzo di 3 slot in produzione. E i volumi sono davvero piccoli. Preferiamo piuttosto realizzare tre autobus da 12 metri».

Irizar ha presentato un coach fuel cell al Busworld 2023, mentre tutti gli urbani a zero emissioni del gruppo si basano su tecnologia a batterie…

«Non crediamo nell’idrogeno nel trasporto urbano, così come non crediamo in un coach elettrico con 5 ton di batterie. La tecnologia dell’idrogeno permette di ottenere un’autonomia estesa e allo stesso tempo riduce fortemente il peso rispetto a un Bev. Inoltre la ricarica è molto veloce, circa 15 minuti. Gli autobus urbani Bev sono efficienti e la tecnologia attuale non pone limiti al completamento dell’autonomia urbana richiesta. Utilizzare la tecnologia dell’idrogeno significa introdurre una complessità tecnologica a livello di deposito, e non genera riduzioni in termini di Opex. Quando il prezzo dell’idrogeno verde si aggirerà intorno ai 4-5 euro/kg, forse sarà il momento di proporre un prodotto urbano».

I finanziamenti per i Classe I a batteria sono stati bloccati in alcuni mercati importanti, come quello tedesco. Ritiene che questo avrà un impatto sullo sviluppo della mobilità elettrica nel trasporto pubblico?

«I finanziamenti sono stati determinanti per dare il via a questo mercato. Tuttavia, oggi il confronto del Tco tra gli autobus urbani elettrici a batteria e quelli diesel è abbastanza chiaro. La differenza nel costo iniziale viene recuperata grazie a un risparmio tra i 200 e i 250mila euro sul diesel durante un periodo di vita tipico di 10 anni. Tuttavia, non possiamo basare la nostra strategia sui finanziamenti pubblici: quando finiranno, saremmo perduti».

E quindi che fare?

«Credo che le banche e il mercato finanziario debbano entrare in questo mercato. Potrebbero sostituire i sussidi pubblici e generare finanziamenti per gli operatori per l’acquisto dei veicoli. Tuttavia, prima deve esserci un consolidamento del mercato, gli operatori dovranno aspettare almeno un ciclo di funzionamento della tecnologia Bev prima di correre il rischio di chiedere soldi alle banche. Il modello di business deve essere sostenibile per attrarre finanziamenti privati».

Nel frattempo, l’Ue ha approvato una rigorosa roadmap per la riduzione delle emissioni di Co2 dei veicoli pesanti.

«La tabella di marcia stabilita dall’Ue per la riduzione delle emissioni di Co2 dei veicoli pesanti è piuttosto ambiziosa. L’obiettivo del 90 per cento degli urbani a zero emissioni nel 2030 è raggiungibile: abbiamo avuto una quintuplicazione dei volumi dal 2019 al 2024. Ma per gli interurbani e i turistici sarà più difficile».

Come dare il via all’elettrificazione dei coach?

«La tecnologia Bev crea difficoltà dal punto di vista tecnologico, in quanto le batterie attuali non consentono di raggiungere autonomie di 800-1.000 km. Inoltre, aumenta drasticamente il peso, limitando il numero di posti a sedere e lo spazio per i bagagli. Anche i tempi di ricarica sono un problema e stravolgerebbero completamente l’esperienza del cliente. Noi siamo pronti, abbiamo la tecnologia e lanceremo un Classe III elettrico quando questa tecnologia sarà in grado di fornire un’esperienza valida sia per i passeggeri che per
gli operatori».

Quali sono le vostre idee sulla tecnologia dei motori a combustione alimentati a idrogeno?

«I veicoli Ice a idrogeno sono meno efficienti dei veicoli a celle a combustibile, quindi l’autonomia massima e l’Opex del veicolo ne risentono pesantemente, anche se è vero che il Capex è attualmente inferiore. L’idrogeno verde in combinazione con un motore a combustione è una tecnologia a emissioni quasi zero, in quanto genera solo bassi livelli di NOx. Pertanto, seguiremo molto da vicino l’evoluzione di questa tecnologia, che potrebbe sfruttare gli sviluppi tecnologici realizzati negli ultimi decenni sui motori diesel e contribuire a decarbonizzare il trasporto a lunga distanza».

Riccardo Schiavo

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