Il ricordo di guida di Gianluca Celentano

Mi è capitato di guidare numerosi bus da 18 metri per i servizi di linea e persino un bilico durante un periodo passato sui camion. Quali sono le analogie fra loro? In realtà, molte. Ciò che cambia è l'”affidabilità”, mentre il punto critico rimangono sicuramente le manovre di retromarcia.

TurboCity UR

I primi 18 metri guidati risalgono a quando mi occupavo di tpl a Milano. Si trattava di un’evoluzione “allungata” dell’Iveco Turbocity, con pianale semi-ribassato e aria condizionata sopra il posto guida. Era impiegato sulla trafficatissima via Padova dove la tecnica di guida consisteva nel mantenersi abbastanza centrali per evitare continui e pericolosi slalom tra auto e persone incuranti del traffico. Il posto guida, rispetto alla prima e gloriosa serie Turbocity, era abbastanza simile ma più tecnologico e con il sistema ABS di serie; eravamo a metà degli anni ’90.

Era un autobus con poca ripresa e scarsa padronanza rispetto ad altri del periodo, almeno per quelli che mi sono capitati per le mani. Prima ancora delle difficoltà nelle retromarce, l’attenzione doveva essere posta durante le svolte in avanti. Infatti, la ralla centrale possedeva una sorta di sensore giroscopico che bloccava completamente l’autobus oltre un certo angolo di svolta. Ciò significava rimanere bloccati sia in avanti che indietro in posizione a “L”. Non c’era modo di uscire da quella “forma geometrica” a novanta gradi, che si creava quando percorrevi le strette vie lungo il percorso. Dovevi, se riuscivi, “allungare” un attimo prima la traiettoria per scongiurare di raggiungere i 90°.

Le chiavi miracolose

Nell’azienda dove lavoravo, avevo stretto amicizia con un meccanico addetto all’assistenza di linea, il quale, con il tempo e la fiducia, iniziò a regalarmi piccole chiavi per resettare alcuni apparati di blocco dei bus. Incredibile, ma vero, sul cruscotto di questa variante di Turbocity 18 metri, con telecamere sulle porte (novità per i Turbocity da me utilizzati), esisteva un punto per disattivare il blocco ralla, permettendo di uscire dall’imbarazzante fermo a “L”. Queste chiavi non venivano concesse a tutti (chissà perché), quindi ho aiutato molti colleghi bloccati davanti a me nel corso degli anni.

Irisbus CityClass 491.18.27

La vera novità è stato il CityClass in versione 18 metri, davvero ben progettato e performante. A volte dimenticavi che stavi guidando un autosnodato e, solo giunto al capolinea, aprendo il cancelletto vedevi il lungo corridoio del 18metri e ti sorprendevi.

Questo era molto più pratico nelle svolte e senza i famosi “blocchi ralla”. Durante la guida di un rimorchio sentivi le “cavalcate” (almeno io le chiamo così!), ossia i sussulti alternati del rimorchio, fenomeno comune. Era sostanzialmente identico al mitico City da 12 metri, a cambiare erano le numerazioni aziendali a 4 cifre: sul piazzale si chiamava “la ventuno”. Risultava stabile per via delle 10 ruote ma  qualche blocco, credo all’assetto, l’aveva anche lui, ma con la chiave miracolosa tutto si risolveva.

Citaro G: Gelenkbus

Il non plus ultra è arrivato con il Mercedes Citaro, un’automobile fatta ad autobus. Qui ero a Monza e non c’erano troppi paletti aziendali per le retromarce. Come per il CityClass, era presente la retrocamera, per cui erano sicuri, ma in rimessa durante i rientri mattutini, facevo “ginnastica”. Sotto le sghignazzate dei colleghi che probabilmente dicevano: “Ma chi te lo fa fare?”, mi ponevo perpendicolarmente alla fila di bus allineati e, in retromarcia, mi parcheggiavo a “L” al loro fianco. Con il tempo ho perfezionato sempre più la tecnica, utilizzando anche gli specchi elettrici per aumentare il campo visivo. Poteva capitare di incagliarsi o trovare ostacoli che obbligavano a fare qualche metro indietro. Con questo esercizio tutto era semplificato e non si interrompeva il servizio. Ricordo un passaggio “assurdo”, credo dalle parti di Limbiate, su un piazzale di una chiesa con paletti ornamentali in metallo e catenelle per delimitare il marciapiede dalla strada. Qui dovevi essere un chirurgo; serviva sfruttare lo spazio fra i paletti con l’angolo anteriore del Citaro man mano che avanzavi; il Citaro è precississimo. Qualche collega però, credo che abbia… “portato via tutto”. Beh, capita!. La bellezza del Citaro era la stessa del 12 metri, così come l’efficienza di climatizzazione e frenata. Devo dire che mi manca!

Stralis 500 autoarticolato

Sul camion l’esperienza è stata breve, molto intensa, ma interessante. Trasportavo macchine da cantiere facendo molte consegne e la società era soddisfatta di me. Peccato che avessi uno di quei contratti precari somministrati a scadenza. Un giorno mi sono incagliato per ingenuità perché gli indirizzi non esistevano ancora nei cantieri, e ti basavi sulla località.

Sul lato strada c’era una “lavoratrice notturna” attiva di giorno. Tutto era deserto e il navigatore mi dava assolutamente quella direzione. Che fare? Chiedo alla signora. Lei mi dice che la strada portava a un casolare in fondo a un campo dove c’erano dei cantieri. Penso: “male che vada do tutto sterzo e torno indietro”. Non l’avessi mai fatto. Dopo un po’ di strada c’era una variante su un ponticello posto sopra un torrente. Impossibile passare, inoltre per il peso del mio Stralis 500 con un Manitou sul pianale, il passaggio cominciava a “muoversi”. Panico! Innesto la retro e mi tiro fuori fulmineamente, ma serviva fare inversione e il cuore batteva a mille, perché, proprio nell’unico punto disponibile c’era un maledetto mezzo  paletto d’acciaio conficcato nel terreno che intralciava ogni manovra. Che fare? Aziono il blocco differenziale e mi allungo sul terreno battuto. Non l’avessi mai fatto. I gemellari rimangono dentro. Panico assoluto questa volta; ma anche una fortuna. In lontananza un contadino era alla guida di un trattore Lamborghini: correndo in mezzo al letame lo implorai di darmi una mano, lui accettò senza problemi e ancora oggi lo ricordo con enorme gratitudine.
Incatenai il telaio dello Stralis al povero Lamborghini che tirò letteralmente fuori i pistoni per riposizionarmi sulla ghiaia. Incubo finito e lodi al contadino.
In ogni caso il cantiere era più avanti sulla strada iniziale che si stringeva eccessivamente. Effettuai comunque la consegna capendo che l’impresa edile non si era spiegata bene con gli impiegati estranei al mestiere di autista. Fu comunque una bella esperienza e allora capii che l’incubo incagli con il camion non erano rari anche con anni di esperienza con i pullman.

L’autore della foto utilizzata è Ian Fisher

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