di Gianluca Celentano, conducente bus

Spesso sui social o sulla stampa sono le immagini di un autobus incastrato da qualche parte a incuriosire aprendo dibattiti su come sia potuto accadere.

Le cause possono essere molteplici e in diversi casi sono legate alle cattive indicazioni o a passaggi ostruiti da altri veicoli oppure, a infrastrutture non a misura di autobus come i tanto temuti ponti. Occhio, esperienza e destrezza sono fondamentali in un mestiere assolutamente imprevedibile e spesso vincolato al comportamento degli altri utenti della strada, ma anche le caratteristiche del bus fanno la differenza.

Tra le esperienza al cardiopalma di un autista l’incaglio è senz’altro quello che non si dimentica più e che accresce la saggezza alla guida. In queste situazioni ricevere solidarietà non è affatto scontato e riuscire a gestire lo stress non è semplice. “Come ne uscirò, proprio adesso doveva accadere, cosa dirà il titolare, come si porranno le autorità con me, quali parole mi saranno lanciate addosso dagli altri”, sono le prime preoccupazioni.

C’è autobus e autobus

Con il noleggio può capitare qualsiasi tipo di servizio e la versatilità di un bus è essenziale e, generalmente, i torpedoni a tre assi offrono una maneggevolezza superiore, ma non è una regola.

Ne ho parlato con Fausto titolare e autista della Mensi autoservizi di Villa Carcina BS, da anni alla guida di un bus a 3 assi; ha le idee chiare sull’argomento: “Tutto dipende dalle dimensioni e soprattutto dalle caratteristiche dell’autobus”.

Sotto alla lente non c’è solo la lunghezza complessiva del bus, ma anche la lunghezza degli sbalzi, la presenza o meno della bagagliera aggiuntiva e le caratteristiche del 3° asse.

Alcuni torpedoni nascono con una vocazione puramente autostradale, altri con un’affinità maggiore verso l’impiego generico come quello di Fausto. Il bus di Mensi è un 3 assi da 13,15 metri e conferma l’ottimale incrocio delle sue caratteristiche. Il 3° asse sterzante in retromarcia è di grande aiuto così come la possibilità di poterlo sollevare da terra. Una manovra che avviene senza troppi problemi in piano, ma può risultare vana in salita, magari in una curva. Qui, buona parte della massa si concentra proprio sul posteriore del mezzo, già appesantito dal propulsore. Ne consegue che il secondo asse è costretto a sfiorare l’asfalto o peggio, il brecciolino.

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Esperienza e infrastrutture

Discutere su infrastrutture a misura di bus sarebbe ahimè lungo, ma non dimentichiamo che già qualche centimetro di spazio fa la differenza in manovra, come nel caso dei bus 15 m con bagagliera posteriore, magari senza retrovisori esterni digitali, un discusso sistema che però permette di “allungarsi” un po’ di più verso una parete. Tra gli esempi Fausto mi dice: “Con un bus da 13,80 m non dotato di asse autosterzante anche in retromarcia sono dolori quando ti capita un tornante stretto e devi retrocedere“.

Un esempio eloquente nei 3 assi arriva dall’èlite degli autobus, il Setra 416, identico al 417 ma con caratteristiche opposte. La valutazione in relazione all’impiego di un bus, deve tenere conto anche dell’angolo di sterzata, altro particolare importante per gli autisti nei casi limite, purtroppo  sottovalutato da chi non è addetto ai lavori. Chiaro ed evidente che l’esperienza di guida arriva con gli anni e se non sbagli non impari, ma forse sarebbe meglio parlare di buonsenso soggettivo e trasversale?

I tornanti

Nelle carreggiate opposte che si raccordano in uno stretto tornante, la parte interna ha un importante dislivello; impostare per tempo la traiettoria è fondamentale. La metafora per comprendere la manovra è l’uso di un comune compasso: più allontani l’ago dal raccordo interno più possibilità di allungarti avrai in uscita della curva. Manovra non sempre fattibile quando qualche auto s’infila per evitare la colonna. In altri casi sono le condizioni della parete (un esempio è la Costiera Amalfitana ) dove il rischio di urtare contro la roccia le vetrate laterali o la coda del bus è reale. Accostare verso il dirupo o a monte con una manovra tipo pendolo fa la differenza in montagna, ma può capitare di dover eseguire una svolta a 180° in più manovre. Lo sbalzo può incunearsi nell’asfalto rendendo vani i tentativi per uscirne. Una condizione che, per correttezza di cronaca, confermiamo non essere rara neppure sui bus a due assi e passo lungo. Nelle manovre avere il pedale della frizione permette un controllo maggiore nei micro spostamenti e la manovra del “tacco e punta”, evitando i sobbalzi al minimo di alcuni “automatizzati”. Se non ricordo male, storicamente alcuni titolari di importanti società di autolinee avevano fornito indicazioni progettuali alla case produttrici prima della realizzazione di una nuova piattaforma di bus.

“La culla”

Il 2°asse, cioè l’asse motore, è in realtà suscettibile di rimanere “appeso” e fermo con una minima aderenza al terreno, qualora il 1° asse e il 3° auto-sterzante siano in aderenza su un piano allo stesso livello. È l’effetto culla o altalena. Un falso piano che celi un dislivello è una condizione che avviene sempre in manovra a bassissima velocità; solo il passaggio con traiettoria diagonale che presuppone più spazio (confidando nella comprensione degli automobilisti) fa la differenza. Ricordiamo che alcuni bus sono equipaggiati del blocco del differenziale che però, in questo caso, servirebbe a poco, mentre l’inserire spessori sotto una delle due ruote motrici è la soluzione risolutrice sempre ché gli sbalzi non si incuneino nella strada. Le comuni sospensioni pneumatiche autolivellanti garantiscono stabilità e comfort mantenendo il più possibile parallelo al terreno il telaio del bus. L’escursione in compressione dei “soffioni” è notevole, ma in distensione non riproducono fedelmente quello che un ponte rigido garantirebbe a un 4×4 o a un tandem di un autocarro da cava. Insomma, rispettare la natura del nostro autobus senza chiedergli eccessi, è un aspetto di cui si deve parlare perché a volte è sottovalutato, confidando sempre e solo nelle qualità del conducente che non può far miracoli.

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