Patenti militari, quando durante la naja si poteva diventare autisti
di Gianluca Celentano, conducente bus Con la legge Martino del 23 agosto 2004, n. 226, il servizio di leva obbligatorio è stato sospeso per i nati dopo il 1985. Il periodo di leva offriva opportunità formative di grande valore, una delle quali era sicuramente il conseguimento della patente per camion e autobus. Titoli convertibili al […]
di Gianluca Celentano, conducente bus
Con la legge Martino del 23 agosto 2004, n. 226, il servizio di leva obbligatorio è stato sospeso per i nati dopo il 1985. Il periodo di leva offriva opportunità formative di grande valore, una delle quali era sicuramente il conseguimento della patente per camion e autobus. Titoli convertibili al congedo (art. 138 d.l.vo 285/92) che hanno permesso a migliaia di giovani di intraprendere la professione di autista professionista, senza costi e con una formazione militare rigorosa e selettiva.
Guidare i mezzi era attraente: umiltà e rigorosa formazione
La formazione avveniva – almeno nella mia esperienza! – sotto la guida attenta di un maresciallo anziano, severo e molto esigente, che non lasciava passare alcun errore e richiedeva perfino la doppietta a ogni cambio di marcia. Una volta ottenuta la patente, seguiva un periodo chiamato “potenziamento chilometrico”, durante il quale si effettuavano uscite giornaliere su strada e nel traffico per fare esperienza e acquisire dimestichezza con manovre e dimensioni dei mezzi: generalmente ACM80, AMC52, Cacciamali bus, ma sicuramente ne sono stati usati anche altri; nella mia esperienza e in quella di persone con le quali mi sono confrontato, questi erano i mezzi che andavano per la maggiore.
Molti colleghi che oggi operano sulle autolinee e nel settore del noleggio devono ringraziare le Forze Armate che, per esigenze di servizio e incarico, hanno permesso loro di intraprendere una professione stabile e di ottenere una solida formazione iniziale.
Le patenti militari erano suddivise in “modelli”: il Modello 1 corrispondeva alla patente A civile, il Modello 2 alla patente B, il Modello 3 alla patente C, e il Modello 4 alla rara categoria D/E civile. Con l’incarico 18/A si otteneva più frequentemente il Modello 3, ma in alcuni reparti, particolarmente selettivi, era possibile conseguire il Modello 4, necessario per la conduzione di rimorchi pesanti e autobus. Questo titolo era generalmente riservato al personale di ruolo, soprattutto sottufficiali, ma anche qualche meritevole militare di leva poteva ottenerlo. Ho avuto diverse occasioni di fare da capomacchina a ragazzi di leva alla guida di autobus e autoarticolati, ma non ho avuto la fortuna di conseguire i titoli durante il militare, bensì successivamente in autoscuola.
L’autista del bus e del colonnello
Era possibile ottenere la patente anche senza un incarico specifico, per esigenze del proprio ufficio di servizio. Alcuni, con la semplice patente Modello 3, diventavano autisti del colonnello. I comandanti di reparto prestavano molta attenzione nella scelta del loro conduttore (termine utilizzato nelle Forze Armate), e non di rado lo sostituivano se non trasmetteva sufficiente sicurezza.
Nei primi anni ’90, i generali di Corpo d’Armata, il massimo grado, viaggiavano con Alfa 90 bianche e blindate; alla guida, però, c’era un carabiniere addestrato anche per la guida tecnica operativa. Emidio, autista di Linee Lecco, è stato conduttore del generale Franco Angioni. Ho avuto modo di osservare e apprezzare, nel corso del mio percorso, l’efficacia formativa militare e di diverse autoscuole civili, specialmente in riferimento alle patenti previste dall’articolo 138 del Codice della Strada, come quelle rilasciate dalla Croce Rossa.
Non si può sfuggire al concetto che guidare mezzi pesanti non è un’attività che si può improvvisare; si tratta, infatti, di una professione