Il ricordo di guida di Gianluca Celentano

Ero davvero giovanissimo, credo avessi 22 anni. Era il 1992 ed ero fresco di patente per autobus. Sul Corriere c’era un allettante annuncio di una rinomata società di autoservizi milanese che cercava conducenti. Pur senza esperienza, il titolare, Gianpiero, decise di assumermi. Il problema era che lui assumeva partendo dal presupposto che, se avevi la patente, eri già formato. Mi affidò un Mercedes da 10 metri per servizi navetta, e così iniziai il mio lavoro, fatto di più riprese giornaliere.

Non solo si guidava, ma…

A quei tempi avevi quasi timore di rientrare in rimessa dopo i giri diurni, perché, in un modo o nell’altro, venivi sempre reclutato per manovalanze d’officina. Una domenica, sul foglio di servizio che arrivava all’ultimo momento e che non ti permetteva di organizzare nulla della tua vita, leggo un viaggio per Rimini con un datato Padane, anch’esso motorizzato Mercedes, di 12 metri di lunghezza. A quell’età, il fine settimana preferivo divertirmi, ma la novità e i guadagni mi allettavano. Oggi, per fortuna, l’imposizione è quasi scomparsa e i servizi arrivano con qualche giorno di anticipo. O almeno così dovrebbe essere!

L’inizio dell’”incubo”

Di buon’ora mi metto in moto per andare a caricare il gruppo. Successivamente mi avvio per l’autostrada, senza conoscere i limiti viabilistici di Rimini. Infatti, il problema (ancora presente) sono i ponti, troppo bassi per un autobus, e le vie strette. Solo pochi consentono di passare nella zona marittima. Il gruppo era tranquillo, per fortuna, e riesco a trovare il passaggio giusto per arrivare sul viale, dove sono presenti decine e decine di vie laterali con gli hotel. Chiaramente, il gruppo non collabora e io non ho esperienza. Pretendono di arrivare davanti all’albergo, posto in una di queste vie.

Considerate che era giugno, faceva caldo e l’aria condizionata non climatizzava l’autista. Provo e riprovo a effettuare delle svolte nel reticolo di vie sotto la pressione dei passeggeri, ma niente da fare, un vero incubo. A un certo punto dico ai passeggeri che, se vogliono arrivare all’hotel, lo devono fare a piedi dal viale centrale. A bordo, silenzio assoluto. Un viaggiatore comprensivo si rivolge a me, giovanissimo autista, porgendomi una bottiglia di acqua fresca. Forse per senso di colpa? Scaricati i passeggeri, devo cercare un punto di sosta, ma arrivano i carabinieri a farmi la radiografia dei documenti con modi non molto cortesi. Tutto a posto, ma comincio a domandarmi chi me l’abbia fatto fare di accettare quel viaggio. Per rilassarmi, vado a farmi un giro per Rimini e approfitto per mangiare qualcosa.

Un copione di disavvenutre

Al mio rientro devo ricaricare il gruppo, questa volta rigorosamente sulla via principale. Mentre mi accingo a inserire la chiave nella serratura della porta del bus (c’era la porta sinistra), questa non vuole saperne di aprirsi. Non c’è verso di abbassare il pistoncino con il pollice per aprirla. Nessuno mi aveva informato del problema. Perdo parecchio tempo, ma sono ancora in orario, sebbene stressatissimo. Quindi ragiono sull’usare le maniere forti. Dalla bauliera prendo una lunga chiave a tubo per far pressione su quel “maledetto” pistoncino della maniglia della porta, azione che volevo evitare per eventuali  peggioramenti. Come per magia, con una leggera pressione, la “malefica” serratura si apre. Mi sale l’adrenalina e mi sento soddisfatto. Carico il gruppo e imbocco l’autostrada per Milano, confidando nella clemenza della Legge di Murphy, visto che mi erano già capitate troppe disavventure per quel giorno…

Verso Bologna ho come l’impressione che il motore perda potenza: la posizione dell’acceleratore non corrisponde alla progressione. Cerco di convincermi che non sia così e oltrepasso Bologna. Verso Reggio Emilia i 100 chilometri orari del bus diventano 80. No, non posso crederci, un altro problema!
Infatti, i filtri del gasolio erano sporchi. Mi fermo in un’area di servizio e sostituisco il filtro spurgando l’impianto, ma il bus non parte più. Solo con l’esperienza mi è stato insegnato di travasare il gasolio dalla vecchia cartuccia a in quella nuova per avviare subito il motore. Il capo officina, un bergamasco di una pignoleria assoluta, imponeva che l’avviamento del motore dovesse durare solo due secondi per non forzare il motorino. Non sapendolo  mi sono “attaccato” un po’ al motorino d’avviamento per la gioia del capo officina bergamasco.

La ciliegina sulla torta

Penserete che sia finito tutto lì e che l’avventura, o meglio disavventura termini con un lieto fine, ma non è così. Poco dopo nei pressi di Parma l’aria condizionata smette di funzionare, il rallentatore elettrico pure. Una spia rossa si accende sul cruscotto. Comincio a pensare di dover andare a Lourdes per una benedizione. Mi fermo al primo autogrill e, questa volta, è l’alternatore che crea problemi: stava per staccarsi. Il dado era smollato e il generatore era scivolato in avanti staccando la connessione retrostante. Non c’erano attrezzi adeguati, ma ho cercato comunque di rimetterlo in sesto e i sistemi funzionavano a tratti, giusto per arrivare a Milano e concludere questo vero e proprio incubo.

Metodi efficaci ma oggi improponibili

E se fosse stato tutto organizzato apposta per il “battesimo dell’inesperto?” Chissà. Fatto sta che oggi, con le condizioni attuali degli autisti, un metodo del genere dichiarerebbe il totale fallimento di molte società. Stressare l’autista allontana dalla professione, è un dato di fatto. Organizzare il lavoro e una formazione/affiancamento sono elementi basilari. Osservando il comparto di oggi, problemi a parte, è innegabile che la vita dell’autista sia progredita molto, ma forse troppo lentamente per convincere le nuove generazioni di driver?

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