La crisi conseguente alla pandemia da COVID-19 ha colpito per primi i settori del turismo e del trasporto passeggeri in concomitanza con l’inizio dell’alta stagione, generando notevoli timori sulle ricadute economiche e soprattutto occupazionali. L’annullamento nel giro di poche ore del 100% del turismo scolastico e, successivamente, il blocco totale di tutti i viaggi, lanciavano ombre molto fosche sul futuro. A due mesi dall’inizio dell’emergenza ci apprestiamo ad entrare nella fase 2 e, sebbene ad oggi non siano ancora stati definiti i dettagli delle misure di sicurezza, è praticamente certo che sarà osservato un rigoroso distanziamento sociale su tutti i mezzi di trasporto con una conseguente riduzione di capienza almeno del 50% sui mezzi pubblici. A fronte di questo calo dell’offerta, tuttavia, non è prevedibile un pari calo della domanda.

Gli scenari sul breve periodo

I risultati delle misure finora ipotizzate per una riduzione dell’utenza, specialmente nelle ore di punta, sono ancora da verificare: fino a quale punto l’incentivazione dello smart working, lo scaglionamento degli orari e la creazione di percorsi protetti pedonali e ciclabili nelle grandi città permetteranno di ridistribuire l’utenza? Esistono dei limiti strutturali legati alla capacità delle reti, più evidenti per quanto riguarda il trasporto metroferroviario, ma forse ancora più drammatici per quanto riguarda i mezzi su gomma. Uno scenario realistico prevede la possibilità di ricorrere a vettori privati per creare dei servizi di potenziamento della mobilità locale urbana e interurbana come, ad esempio, delle corse rapide o delle navette di supporto, laddove la dotazione di mezzi e autisti delle aziende affidatarie del TPL non permettesse di far fronte alle nuove necessità. Allo stesso modo, abbiamo già visto che diverse realtà produttive hanno creato ex-novo dei servizi per il trasporto dei propri dipendenti, o incrementato quelli già esistenti.

Autisti di autobus al tempo del Covid-19

Se questo cambiamento di prospettiva rappresenta uno spiraglio di luce per diverse realtà che, a seguito della crisi COVID-19 hanno visto mettere seriamente in discussione la propria stessa esistenza, da un altro lato porta nuovamente in evidenza la criticità legata alla carenza di autisti, un problema molto sentito negli ultimi anni in tutto il mondo del trasporto pesante ma soprattutto nel trasporto di persone. A fronte di un numero crescente di risorse che hanno lasciato la guida per pensionamento, inidoneità o cambio di mansione, il numero di nuovi autisti immessi in servizio negli ultimi anni è stato significativamente inferiore e le prospettive per il futuro sono tutt’altro che rosee. Per cercare di fronteggiare questa situazione emergenziale, ma anche in un’ottica di più lungo periodo, è importante capire quali siano le cause di questo calo di interesse per la professione del conducente e quali gli interventi possibili per renderla più appetibile.

Ne abbiamo parlato con Andrea Ballini, insegnante e istruttore, titolare dell’Autoscuola Vedano di Vedano al Lambro (MB) e direttore del Consorzio Autoscuole Villoresi di Monza.

Prima dell’emergenza COVID-19 come si presentava la situazione per le patenti superiori?

Dopo l’introduzione della CQC, avvenuta nel 2008 per il trasporto persone e nel 2009 per il trasporto merci, c’è stato un calo verticale nel numero di conseguimenti di patenti superiori, e conseguentemente di CQC, che si è protratto fino al 2016, quando è stato introdotto l’esame a quiz per le patenti superiori ed è stato eliminato l’esame teorico per le patenti E (ora compreso nelle teorie C e D). Dopo il 2016 abbiamo assistito ad una moderata ripresa. Parlando di numeri, con l’arrivo della CQC abbiamo avuto solo il 15% di patenti superiori rispetto alla media degli anni precedenti  e, dopo il 2016, ci siamo attestati sul 20/25%. In media in un anno nella mia autoscuola vedo il conseguimento di una patente D a fronte di 4/6 patenti C.

Quali sono le ragioni di questo andamento?

Le cause sono da individuare nell’aumentata difficoltà nel conseguimento della patente e della CQC. Non parlo sono di difficoltà a livello nozionistico, ma soprattutto di tipo operativo: si parla di un corso di 3/4 mesi, intenso e impegnativo, con frequenza obbligatoria, un numero esiguo di assenze consentite e di un esame di alto livello. C’è un problema di costi elevati e di tempi: attualmente chi volesse conseguire una patente superiore e la relativa CQC deve mettere in bilancio un anno di tempo tra l’iscrizione alla scuola guida e il completamento di tutti gli esami. Sono ostacoli che richiedono una grande motivazione ma oggi fare l’autista viene percepito come poco invitante e quindi per molti il gioco non vale la candela. Questo avviene in particolare per il trasporto di passeggeri, che viene visto come un settore difficile, con orari scomodi e non adeguatamente remunerativo.

Cosa potrebbe rendere più appetibile questo mondo agli occhi di un giovane che deve scegliere su quale carriera orientarsi?

Un aspetto importante è quello di mostrare il personale di un’azienda, grande o piccola che sia, come parte della squadra, insistendo su elementi come l’abbigliamento, uno stile comune o una formazione extra specifica per l’azienda, momenti di team-building, fino ad arrivare alla possibilità di un percorso diretto dal conseguimento della patente e della CQC all’inserimento in servizio con la certezza, sin dall’inizio, di avere un lavoro in mano. Tutto questo, però, non può prescindere da una riduzione dei tempi di conseguimento: mantenendo gli attuali limiti imposti dalla normativa sul massimo numero di ore di formazione erogabili in un giorno, sarebbe possibile concentrare i corsi in un paio di mesi ma il vero imbuto è rappresentato dai tempi lunghissimi per l’assegnazione delle sedute d’esame.
Andrebbe poi modificata l’immagine del settore dei trasporti: al momento esso viene percepito come strategico soprattutto da lavoratori più adulti, non è raro incontrare persone di 40-45 anni e oltre che hanno chiuso una loro attività e hanno preferito riconvertirsi in autisti rispetto ad altre strade. Per i più giovani, invece, rimane un settore scomodo, faticoso, in cui si lavora quasi sempre anche nel fine settimana, la sera o la mattina presto. È arrivato il momento di pubblicizzare il nuovo ruolo dell’autista, non più un conducente-meccanico che torna a casa con le mani sporche, ma un impiegato del volante che deve avere competenze tecniche e amministrative insieme ad una buona padronanza di strumenti tecnologici avanzati, riceve una formazione continua di alto livello e vive in un contesto dinamico, insomma, un lavoro con tanti aspetti positivi e sempre interessante.

Quale sarà, secondo te, l’impatto di questa crisi e le azioni semplificative e migliorative che potrebbero agevolare il settore della formazione dei nuovi autisti?

Nel nostro settore il vero collo di bottiglia è rappresentato dalla Motorizzazione. Già prima dell’emergenza Coronavirus si lavorava con tempistiche drammatiche per l’assegnazione delle sedute d’esame e le pratiche relative alle patenti. Adesso ci sarà un accumulo di pratiche pregresse da smaltire, in aggiunta a quelle nuove che si verranno a creare e  la situazione presumibilmente non potrà che peggiorare.
Relativamente alla formazione, si potrebbe pensare a numerose iniziative per creare un filo diretto, un collegamento forte tra le autoscuole e le aziende di trasporto, finalizzato a valorizzare la figura dell’autista con percorsi specifici per la tipologia di servizio che andrà a svolgere. Vedo con favore la costituzione di una sorta di “accademie” di formazione, in cui il futuro autista riceva una formazione ampia
, mirata e professionalizzante, di cui patente e CQC rappresentano solo una parte. Questo potrebbe portare in tempi ragionevolmente brevi ad un aumento dell’interesse dei giovani verso questo settore. Anche in questo caso, però, sarebbe auspicabile la semplificazione di alcuni vincoli quali, ad esempio, l’impossibilità di svolgere attività formative direttamente nella sede delle aziende per ragioni assicurative.

di Alessandro Razze

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