Generazioni (e culture) di autisti a confronto: ma gli autisti extra Ue sono una necessità o una “minaccia”?
Se guardiamo al resto del mondo anche senza allontanarci troppo, troviamo nella vicina Malta un esempio concreto di realtà professionalmente multietnica: qui, la professione di conducente di autobus è esercitata in larga parte da autisti non nativi dell’isola. Questo fenomeno rispecchia la storia stessa del mondo e l’evoluzione delle società moderne; niente di straordinario, in […]
Se guardiamo al resto del mondo anche senza allontanarci troppo, troviamo nella vicina Malta un esempio concreto di realtà professionalmente multietnica: qui, la professione di conducente di autobus è esercitata in larga parte da autisti non nativi dell’isola. Questo fenomeno rispecchia la storia stessa del mondo e l’evoluzione delle società moderne; niente di straordinario, in apparenza. Tuttavia, il rapido cambio generazionale che stiamo affrontando in Italia – e non solo – ha assunto ritmi tali da trasformarsi in una vera emergenza, rendendo fondamentale uno sforzo concreto per favorire l’integrazione dei nuovi colleghi.
Tra integrazione e speculazione, ci sono i pregiudizi
Un processo che, carico di pregiudizi, rischia di alimentare tensioni tra conducenti italiani e quelli provenienti da Paesi extra-UE, mettendo in evidenza un divario culturale (ed economico?) che necessita di essere colmato con intelligenza e apertura. Il primo passo in questa direzione deve essere una formazione adeguata, sia sul piano tecnico che culturale: padronanza della lingua, comprensione degli usi occidentali e capacità di guida devono andare di pari passo.
Su questo tema, però, si apre un dibattito spinoso. Per molti – non solo autisti – questa realtà rappresenta spesso un paravento per giustificare l’impiego di lavoratori potenzialmente sottopagati. Se infatti non vengono garantiti i passaggi fondamentali di formazione e tutela, il rischio concreto è quello di alimentare forme di sfruttamento nei confronti di persone che non conoscono a fondo le normative italiane sul lavoro.
Superficialità e presunzione?
In un altro caso, un piccolo imprenditore mi ha raccontato di aver avuto a colloquio un autista extra UE senza esperienza, a cui ha proposto una retribuzione iniziale di circa 1.300 euro, comprensiva di buoni pasto, con un aumento graduale legato all’apprendimento. Nonostante questa proposta, l’autista ha rifiutato, rispondendo anche in modo sgarbato. La domanda che sorge spontanea è: forse servirebbe più umiltà da parte di chi è alle prime armi, soprattutto quando manca l’esperienza, italiano o straniero che sia?
Al centro della questione troviamo alcune piccole società, spesso evitate dai conducenti italiani, che privilegiano il risparmio immediato piuttosto che l’investimento a lungo termine nella qualità e nella professionalità. Un modello che, se non corretto, rischia di amplificare le criticità di un settore già fragile. In attesa di un rinvio della scadenza definitiva per la patente del bus, alcuni titolari più intraprendenti stanno cercando di trattenere in servizio autisti vicini alla pensione, magari con la conversione della patente. Tuttavia, i numeri dei conducenti ancora non soddisfano le necessità, e quindi l’opera di conducenti extra-UE, che piaccia o meno, sarà provvidenziale?
Gli aspetti pratici e le testimonianze
- Aspetti legali: la libertà di culto è tutelata in Occidente, ma deve bilanciarsi con esigenze professionali come sicurezza e neutralità. Le regole sulle uniformi possono limitare l’uso di simboli religiosi in alcuni settori, mentre la flessibilità per festività religiose spesso dipende dalle necessità operative.
- Aspetti culturali: l’integrazione è spesso influenzata dalla percezione delle differenze culturali e religiose. In alcuni contesti, una mancata conoscenza reciproca o pregiudizi possono generare tensioni.
- Conflitti di valori: alcuni valori religiosi (come quelli relativi al ruolo della donna o alla condanna dell’omosessualità) possono sembrare incompatibili con i principi di inclusività e parità di genere promossi nelle aziende occidentali.
- Formazione alla diversità: molte organizzazioni investono nella formazione interculturale per prevenire discriminazioni e favorire il dialogo.
- Aspetti pratici e compatibilità: le aziende favoriscono inclusione con spazi per la preghiera e turni flessibili. La compatibilità richiede sforzi condivisi da istituzioni, aziende e individui per bilanciare diritti e necessità operative.
Una testimonianza
Tommaso (nome di fantasia) racconta: «Lavoro sotto un padroncino e una mattina presto, mentre uscivo dal bagno, nel piccolo spazio dove c’è anche la macchinetta del caffè, ho trovato un nuovo collega, di fede musulmana, inginocchiato vicino alla porta a pregare. Non l’ho disturbato, l’ho semplicemente salutato. Probabilmente cercava, senza saperlo, un angolo più riservato e caldo (era inverno) per pregare. In seguito ho scoperto che non comprende bene l’italiano, e mi sono chiesto come farà, durante una gita, a capire se un passeggero gli chiede di fermarsi per andare in bagno».
Questo episodio mostra come la convivenza e l’integrazione siano possibili, ma richiedano comprensione reciproca e piccoli gesti di rispetto quotidiano e l’adeguamento (mentale) e delle strutture.
In sintesi, integrazione e libertà di culto sono compatibili con le professioni in Occidente, a patto che vengano rispettati i principi di rispetto reciproco e flessibilità. La sfida è trovare un equilibrio che permetta sia la libera espressione religiosa sia il corretto funzionamento delle realtà professionali.
di Cristian Guidi