Si è votato in Italia, così come si è votato in tutti e 27 i Paesi membri dell’Unione Europea per il rinnovo del Parlamento. Sappiamo bene come è andata alle nostre latitudini e anche oltre le Alpi, con particolare riferimento ai vicini francesi e ai un po’ meno vicini tedeschi, dove i partiti di destra a trazione sovranista e identitaria hanno fatto il pieno di voti, portando per esempio il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron a sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni.

Per noi di AUTOBUS e per chi opera in questo settore in varie vesti, la domanda sorge spontanea ed è la seguente: con i risultati che vanno via via delineandosi in tutti e 27 gli Stati dell’Ue e che vedono i sovranisti guadagnare seggi (+4) e il Partito Popolare Europeo (PPE) consolidare la leadership (+10), la normativa di fresca approvazione per raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica nel comparto del trasporto persone e merci sarà stravolta?

Difficile, ma non impossibile rispondere. Bisogna solo avere un po’ pazienza perché a questa domanda possiamo provare a dire la nostra, articolando le nostre argomentazioni, partendo da quello che è un punto fermo (per quanto in politica non ci sia mai nulla di assicurato), che è il seguente: la futura maggioranza a Bruxelles sarà sostanzialmente la medesima di questi ultimi cinque anni: Partito Popolare, Partito Socialista e Renew Europe, ovvero il Partito Democratico e Liberale Europeo al quale, giusto per dare qualche coordinata, fa parte Macron e avrebbero voluto far parte Siamo Europei di Carlo Calenda e Stati Uniti d’Europa di Matteo Renzi ed Emma Bonino.

Certo, ECR, cioè il Gruppo dei Conservatori Europei avrebbe i numeri per sostituirsi a Renew Europe (per quanto i “centristi d’Europa” abbiamo ad oggi ancora sei seggi in più), ma non vediamo come possa essere possibile un’alleanza tra i socialisti e i conservatori, nonostante il ruolo da miglior collante possibile che possa essere giocato dai popolari. Men che meno il Gruppo Identità e Democrazia, ad oggi “fermo” a 53 scranni della plenaria (+9 rispetto alla precedente legislatura).

Per cui, in soldoni, non vediamo per quale ragione la stessa maggioranza che – non senza difficoltà – ha dato il “la” alla direttiva per tagliare le emissioni di CO2 (taglio del 45% a partire dal 2030, del 65% dal 2023 e del 90% dal 2040), dovrebbe rimettere tutto in discussione. Per quanto, a dirla tutta, già negli scorsi mesi il presidente uscente della Commissione Ursula von der Leyen (che sarà molto probabilmente anche il presidente ri-entrante) abbia aperto a una possibile revisione, anche se – per dirla tutta, ma proprio tutta – ha accennato a questa eventualità relativamente al comparto automobili, non a quello dei mezzi pesanti su gomma. Per cui, salvo scossoni e terremoti – che sono però pagnotte pressoché quotidiane della politica –, dovessimo scommettere i nostri famosi “two cents”, punteremmo senza indugi sulla conferma del provvedimento.

Ecco, a questo ultimo, o meglio penultimo punto circa allo stop alle auto a combustione interna a partire dal 2035, per ulteriore dovere di cronaca – seppur a giochi ormai fatti – ricordiamo quella che è la posizione espressa dai principali partiti italiani, secondo quanto scritto nero su bianco sui rispettivi programmi. Fratelli d’Italia, Forza Italia Lega e anche Siamo Europei (che però ha mancato la soglia di sbarramento del 4%) sono scettici, contrari e contrarissimi (a seconda di come ci si sposta tra i suddetti quattro partiti) alla misura e ne chiedono una revisione. Non ha una posizione chiara Stati Uniti d’Europa, ma per loro vale lo stesso discorso fatto per la “coalizioncina” guidata da Carlo Calenda: non avranno voce in capitolo in sede comunitaria. Favorevoli, invece, alla norma “green”, il Partito Democratico, Alleanza Sinistra e Verdi e anche il Movimento 5 Stelle.

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