La transizione graduale alle alimentazioni alternative fa meglio e presenta dei vantaggi. Bandire i motori a diesel dal processo non fa bene perché riduce il ricambio dei mezzi in attività, ma non solo. La sintesi dello studio ‘Analisi delle opportunità e delle criticità per la transizione energetica nel tpl in Italia’ realizzato da Pierluigi Coppola e Francesco De Fabiis.

Diesel contro la burocrazia. I fondi italiani destinati al rinnovo della flotta autobus del trasporto pubblico locale impongono l’esclusione del motore a gasolio da qualsiasi piano. Il diesel, insomma, ‘non s’ha da fare’. Ma questi vincoli possono essere considerati un limite? Sì.

È ciò che emerge dallo studio ‘Analisi delle opportunità e delle criticità per la transizione energetica nel tpl in Italia’ realizzato da Pierluigi Coppola e Francesco De Fabiis. Una transizione più graduale alle alimentazioni alternative consentirebbe, infatti, il ricambio di un maggior numero di veicoli con effetti positivi sull’età media del parco mezzi. Che è poi l’obiettivo prioritario del settore, perché ne dipende la sua attrattività e dunque l’attuazione dello shift modale, con la riduzione dell’utilizzo dell’automobile privata. Le analisi mostrano anche che per mantenere gli autobus nella categoria ‘under 10’ nel prossimo futuro serviranno altre risorse.

I numeri del tpl tricolore

La conta degli autobus impiegati per il trasporto pubblico locale è di 43mila veicoli (19mila per il servizio urbano e 24mila per quello extraurbano). L’età media, stabilita al 30 giugno 2024, è stimata in 10,5 anni (9,5 per la flotta urbana e 11,3 per quella extraurbana).

Come forma di alimentazione regna sovrana il diesel nell’85 per cento dei casi (17 per cento Euro III, 4 per cento IV, 22 per cento euro V, 41 per cento VI). La restante parte, ovvero il 15 per cento, viene spartita da tutte le altre tecnologie. L’inquadramento generale della ‘anzianità’ dei mezzi in circolazione sul suolo italiano è propedeutico per comprendere come gestire al meglio i finanziamenti per il ricambio degli stessi.

Secondo lo studio presentato, sul piatto ci sono da spendere dal 2024 (luglio) al 2033 circa 5,2 miliardi, di cui 3,7 per il rinnovo degli autobus urbani e 1,5 per gli extraurbani. C’è però un aspetto da tenere a mente: i fondi disponibili targati ‘made in Italy’ non prevedono la possibilità di acquisto di modelli diesel. Un vincolo questo che è anche più stringente delle indicazioni della Commissione Eu. Pierluigi Coppola e Francesco De Fabiis, alla luce dell’attuale situazione, hanno effettuato una serie di analisi, sia per l’ambito urbano che extraurbano, partendo da diversi scenari che ipotizzano la sostituzione dei vecchi mezzi ad esempio con nuovi motori a gasolio tradizionale (diesel Euro VI) oppure tutti elettrici rispettando il perimetro dei fondi italiani (solo autobus elettrici per l’urbano e niente diesel per l’extraurbano), fino alle soluzioni di mix energetici e quelle legate alle impostazioni Ue. 

Il rinnovo delle flotte urbane

Sul fronte urbano, le molteplici simulazioni nel periodo 2024-2033 «hanno dimostrato che l’acquisto di soli autobus elettrici a batteria permette una sostituzione del solo 37 per cento della flotta, contro il 90 per cento nel caso di acquisizione di soli autobus diesel e il 48 per cento nel caso di una transizione più graduale che rispetti i vincoli europei, meno stringenti di quelli italiani – viene spiegato nell’elaborato -. La gradualità ha effetti positivi sull’età media, riducendola in modo stabile di oltre un anno». Un aspetto non di secondo piano. Di sicuro, va aggiunto, che il processo di rinnovo che contempla il diesel ha un impatto positivo sulle emissioni inquinanti, perché andrebbe a ‘togliere’ dalla strada i veicoli ‘old style’ più inquinanti. In termini di emissioni climalteranti la differenza tra scenario graduale e ‘total electric’ è davvero ridottissima: «L’8 per cento se rapportata al complesso delle emissioni del settore del trasporto passeggeri con autobus, che rapportata al complesso delle emissioni climalteranti da fonte antropica, considerando che il settore dell’autobus pesa su queste solo per lo 0,7 per cento, risulta essere prossimo allo zero». 

E per l’extraurbano?l

Le conclusioni raggiunte in ambito extaurbano sono simili all’urbano. Anzi, i risultati ottenuti esaltano ancora di più i vantaggi di una maggiore gradualità nel processo di transizione. Con i vincoli imposti dal Piano Strategico Nazionale della Mobilità Sostenibile (che non consentono l’acquisto dei diesel), il numero di veicoli che si riesce a rinnovare varia tra 3.000 e 3.500 in base al mix tecnologico. Il numero sale a 6.100 autobus invece in uno scenario meno stringente di quello ‘tricolore’ e più graduale, strutturato sulla base dei vincoli Ue. «Questo – si legge – ha effetti molto positivi sull’età media del parco, con una differenza che arriva a essere anche di quasi quattro anni. L’effetto è peraltro massimizzato se si ipotizza l’acquisto di soli autobus ad alimentazione diesel alimentati ad Hvo, un biodiesel di ultima generazione». Le simulazioni, anche qui, dimostrano che la gradualità ha effetti positivi grazie alla più veloce uscita dalla circolazione dei bus maggiormente inquinanti. E rispetto alle emissioni climalteranti la marginalità, tra le diverse opzioni, è comunque un dato poco rilevante.

L’auspicio: sì alla transizione, ma che sia graduale

Con un allentamento dei vincoli del Piano Strategico Nazionale della Mobilità Sostenibile, che come già spiegato non prevede l’acquisizione di autobus a gasolio, si possono avere effetti positivi sull’età media del parco e sulle emissioni inquinanti, senza avere effetti significativi su quelle climalteranti. «Una transizione più graduale – illustrano gli esperti – permette peraltro di affrontare meglio le criticità che il passaggio ad alimentazioni alternative oggi comporta, quali ad esempio: carenza di infrastrutture di ricarica e rifornimento, scarsa offerta nel mercato dei veicoli soprattutto per gli autobus extraurbani, incertezza del prezzo dell’energia. Dalle simulazioni dello studio sull’età media del parco – continuano – è inoltre emerso che, sulla base delle risorse attualmente disponibili, a partire dal 2026, quando si esauriranno i finanziamenti previsti dal Pnrr, l’età media, a prescindere dalle strategie di investimento adottate, dopo un periodo di riduzione, comincerà ad aumentare». Il motivo? La scarsità delle risorse messe in campo. Infatti, le proiezioni hanno mostrato che per mantenere l’età media del parco autobus al di sotto dei 10 anni nel lungo periodo sia necessario un incremento delle risorse, almeno di 500 milioni di euro annui.

di Maurizio Zanoni

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