di Gianluca Celentano

Con le risorse attuali e con l’importante carenza di conducenti, mettere in campo altri piani per cambiare regole fossilizzate non è certo semplice. E forse non c’è neppure la volontà di farlo. Quello che è emerso con l’emergenza pandemica ha però prodotto un interessante banco di prova sinergica tra vettori privati e società di gestione tpl e partecipate.
Per necessità, i grossi nomi del tpl si sono trovati a dover gestire una sorta di banca dati degli autisti impiegati in altre società. Un prestito – che qualcuno chiama un affitto – di autisti per garantire la funzionalità dei servizi essenziali di linea.

Un precedente che non ha in realtà motivi (se non quelli economici) per non essere riproposto in epoca non emergenziale anche in senso inverso, cioè “dal tpl alle navette private”. L’esperienza dei colossi del tpl rappresenta una sorta di garanzia della giornata lavorativa anche a un autista in prestito al tpl. È bene essere chiari sui tempi di “guida generali”, cioè cronotachigrafo e esenzioni, affinché la compatibilità tra le due specialità sia considerata appetibile anche dagli autisti. Qui avviene una prima distinzione tra coloro che non svolgerebbero mai il tpl e quelli (come me) che lo svolgerebbero come attività diversificata.

Rendere interessante il lavoro

La diversificazione del servizio è senz’altro un punto che ci mette alla prova consentendoci di svolgere altre mansioni, spezzare la routine di una linea e accrescere il bagaglio formativo e professionale del conducente. L’abitudine a svolgere per anni la stessa linea offusca le prospettive di fare qualcosa di diverso che richiederebbe l’apprendimento di regole nuove. Non per questo l’idea è bocciata sui piazzali dove una discreta percentuale di colleghi mostra curiosità nei confronti di qualche cambiamento legato alla guida.

Forse la diversificazione metterebbe un freno ai tanti allontanamenti che avvengono, dopo pochi anni dall’assunzione, in rinomate aziende che probabilmente non sono state capaci di intercettare per tempo i primi segnali di instabilità e demotivazione dei loro conducenti.

Patti chiari per migliorare la vita

Quello che emerge ascoltando i colleghi è che i piccoli e medi vettori gestiscono il noleggio in maniera troppo diversa tra di loro. Alcuni con troppo permissivismo nei confronti dei gruppi. Benché sia comprensibile la ricerca di profitto, è bene o meglio, sarebbe meglio avere regole comuni sul comportamento dei trasportati pur sapendo che il rischio di perdere un cliente, anche per differenze irrisorie sui costi, è reale. Infatti in assenza di un feedback sui passeggeri si va a fortuna. Le gite con le scuole possono essere traumatiche per il conducente oppure filare lisce come l’olio, così come i tifosi o un gruppo che noleggia il bus per farsi una giornata al mare. Che piaccia o meno il conducente diventa parte integrante di un gruppo e lascio immaginare l’imbarazzo dell’autista nel dover imporsi – mentre sta guidando – per evitare che in tutta tranquillità qualcuno si alzi durante la marcia, parli ad alta voce, imponga una strada o peggio, si metta a lanciare vere e proprie provocazioni. Quello che invece si può fare è segnalare senza timore di ritorsioni i soggetti non rispettosi confidando nella successiva comprensione del titolare. Ma c’è dell’altro in realtà, indicare coraggiosamente sin dalla stesura del contratto cosa non è permesso fare a bordo di un bus. Ad esempio: parlare ad alta voce al telefono dietro al conducente.

Conoscerci meglio

Per esperienza personale posso sostenere di conoscere superficialmente centinaia di colleghi pur non avendo stretto vere amicizie. Il mestiere dell’autista significa autonomia “gestionale”, almeno nel privato, condizione che porta a una sorta di isolamento con il resto della società lavorativa. Sui piazzali c’è il libero sfogo sulle avventure di linea e sui problemi dopo ore di guida, ma alla fine è solo un parlare, non un conoscerci come avviene in un  ufficio. Con i social questo aspetto è aumentato e “gli amici” virtuali con cui ti confidi di più non si contano. Anche i gruppi del dopo lavoro nelle grandi aziende, stando a qualche testimonianza di colleghi in pensione, non hanno più molti seguaci. Delle centinaia di colleghi in forza nelle rimesse conosci appena quelli della tua  linea e tutto è lasciato alla simpatia o alle voci che circolano sugli altri.

Un’azienda: scuola sociale e di utilità 

Durante un servizio in una media società mi cadde l’occhio su un autocarro 4×4 (Iveco ACM80) ex militare attrezzato come carro officina e protezione civile. L’idea della dirigenza era quella di formare il proprio personale autista anche nei servizi di soccorso logistici con step formativi al di fuori del proprio turno. In effetti, anche per il dipendente, lavorare imparando apre a una molteplicità di opportunità aumentando la motivazione. Per la ditta, tutto sta nel poterselo permettere in termini di quantità di autisti non perdendo di vista la convenienza economica.  Di sicuro il concetto rientra in quella diversificazione mirata e, perché no, di pubblica utilità.

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