BLOG / Angolo cieco, una vittoria di Sistema Trasporti in un far west amministrativo e azzardato
di Gianluca Celentano, conducente bus Ha suscitato molte polemiche e timori tra vettori e autisti delle autoservizi l’ordinanza n° 971 del 11 Luglio, con la quale il comune di Milano imponeva dal successivo 2 ottobre il divieto di accesso in area B e C agli autobus e camion sprovvisti di sensori per la segnalazione degli […]
di Gianluca Celentano, conducente bus
Ha suscitato molte polemiche e timori tra vettori e autisti delle autoservizi l’ordinanza n° 971 del 11 Luglio, con la quale il comune di Milano imponeva dal successivo 2 ottobre il divieto di accesso in area B e C agli autobus e camion sprovvisti di sensori per la segnalazione degli angoli ciechi.
A sobbalzare sulla sedia, o meglio sul sedile, è stato anche Moreno Caldana, titolare della Caldana International di Toscolano Maderno, presidente emerito della ST Sistema Trasporti, l’associazione di categoria del trasporto privato Ncc e bus. Da subito è stato interessato l’attuale presidente di ST Francesco Artusa che è stato molto chiaro sulla questione, sostenendo che è in gioco un concetto di diritto come vedremo più avanti. Con gli avvocati Giovanni Guzzetta, Jacopo Vavalli e Alberto Zito, Francesco Artusa ingaggia un infuocato ricorso che ha visto il Tar della Lombardia con sentenza n°02770 accogliere il ricorso proposto dall’ associazione di categoria.
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Infatti il TAR ha dichiarato la totale incompetenza del Comune di Milano nell’emettere l’ordinanza 971, essendoci inoltre l’incompatibilità dei sistemi after market allestiti sui veicoli già immatricolati e non riconosciuti come omologati nel resto d’Italia. Rimane invece valida dal luglio 2024 la direttiva Ue che impone a bus e camion di nuova immatricolazione tale obbligo.
Fermo restando l’interesse e la maturità di tutto il comparto per la sostenibilità ambientale e l’impegno per una maggior sicurezza stradale, mi racconta Francesco Artusa, risulta evidente dopo il mancato tentativo comunale di anticipare – e modificare – una norma Ue, che l’amministrazione ha, ancora una volta creato senza motivo due fazioni rivali. Un inutile spaccatura tra utenti deboli e mezzi pesanti.
Del resto è mediaticamente più conveniente colpire autobus e camion, soggetti più in vista, piuttosto che far rispettare le regole (uso delle piste ciclabili etc), creare parcheggi o servizi in cambio degli eccessivi oneri d’ingresso nelle città. Le città, con Milano in testa, hanno ristretto gli spazi per la circolazione dei mezzi, concentrato le emissioni e continuando a edificare facendo finta di non capire le esigenze di un settore che in realtà muove l’economia.
Como e Portofino riaperte ai bus
Inoltre, tra le battaglie condotte da Artusa per il comparto bus, ci sono le recenti vittorie per le sentenze sulla statale Regina del lago di Como e la riapertura di Portofino al transito dei bus turistici.
In una nota Artusa e Diego Astori, vicepresidente di Sistema Trasporti -gruppo Zani- dichiarano: “Il Comune non è il proprietario della strada provinciale portofinese 227 e non aveva la competenza di inibire il transito a nessuno senza neppure consultare città metropolitana, l’ente preposto che aveva emanato un’ordinanza contraria rispetto quella imposta dal primo cittadino di Portofino. Una questione così palese che il Tar ha condannato il Comune al pagamento delle spese legali. Purtroppo, in assenza delle regioni e del ministero, ci tocca di difendere in proprio lo stato di diritto e il rispetto delle competenze. Anche il Tar ha ricordato che un Comune non può fare come gli pare con il pretesto della sicurezza o dell’ambiente”.
Far-west di sindaci e presidenti di regione
Il tema contemporaneo è proprio l’arroganza con la quale le amministrazioni locali, senza passare da consulenti e associazioni, impongono continue regole che ledono i diritti di chi lavora per la mobilità collettiva. ST – continua Francesco Artusa – con la recente audizione presso la 9a Commissione Trasporti della Camera dei Deputati ha evidenziato proprio questo noioso problema: “È oggettivamente impossibile fare impresa di mobilità sul mercato italiano ed europeo dovendo sottostare non a una norma nazionale e/o comunitaria, ma potenzialmente a 8000 ordinanze comunali e 20 leggi regionali più svariati regolamenti. Un vero e proprio far-west in cui alcune aziende possono crescere economicamente grazie alla mancanza di gabelle e limiti di età imposti ai veicoli, ed altre invece bloccate da zavorre insostenibili”.